sabato 16 maggio 2015

Il valore della semplicità

Poco fa ho letto un'intervista a Gianrico Carofiglio, scrittore, politico ed ex magistrato, che mi ha dato spunto per parlare di un aspetto della scrittura che mi sta particolarmente a cuore: la semplicità.

Vi riporto un breve estratto.




L’oscurità degli scrittori in parte viene alimentata anche dagli editori?
«Ci sono alcuni editori secondo i quali l’incomprensibilità di un testo è sintomo di letterarietà. Meno un libro è comprensibile, meno si deve rendere conto al lettore».
 
Il pubblico si è quindi abituato a questa non-comunicazione?
«Il pubblico della scrittura incomprensibile fa parte dello stesso segmento autoreferenziale. Sia chiaro: non sono un sostenitore della semplificazione a tutti i costi e dunque della banalizzazione. Ci sono cose difficili da dire che richiedono un linguaggio complesso e un necessario sforzo del lettore. Vorrei solo che non si creassero ostacoli dove non ci sono per puro esibizionismo letterario».
 

Ci sono alcuni autori che fanno della pomposità un marchio di fabbrica, e sinceramente ho opinioni contrastanti a riguardo.

Sono convinta che lo stile sia sempre valido se autentico. 

Non sono un'esperta, lo sapete, perciò questa è la mia umile visione.
Io credo che lo stile rappresenti l'interiorità dell'autore. Se ci si identifica in uno stile "sofisticato", se si ritiene necessario comunicare attraverso complicate metafore e periodi articolati, allora non ci si dovrebbe sforzare, secondo me, di semplificare i propri scritti. 
Ovviamente mi fa orrore chi usa paroloni a sproposito per darsi arie da intellettuale, sia nel linguaggio che nella scrittura. Ma soprattutto trovo patetici quelli che fingono di capirlo per darsi un tono. A volte assistiamo a conversazioni totalmente senza significato in cui gli interlocutori stessi non hanno idea di cosa si stia parlando. Quando questo accade nel dialogo sommerso tra autore e lettore si ha un duplice fallimento

Perché, a quanto pare, oggi dobbiamo tutti mostrarci come espertoni. Ammettere di non aver capito un autore, che magari è oggettivamente una supercazzola editoriale, non è un'opzione percorribile. 
E poi solo uno sfigato non capterebbe la sottile critica alla natura umana inserita sapientemente nelle vicende di un romanzo che ha come protagonista un cerbiatto di nome Polly.
Pff sfigati.

Credo che per recepire alcuni messaggi, ma recepirli davvero, sia necessario essere in sintonia con l'autore. Essere familiari con le sue opere, conoscerlo (per quanto possibile), cercare di vedere le cose con i suoi occhi.
Allora, e solo allora, e se l'autore ha effettivamente qualcosa da dire, si può effettivamente intavolare una discussione sensata e cercare di estrapolare il significato di un'opera.


Altrimenti, e in questo mi associo a Carofiglio, non si tratta che di un chiacchiericcio inutile.

E voi che ne pensate? 

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